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I PERLASCA A 180°…E PIÙ

Premessa

Più di un secolo fa migliaia di ticinesi lasciarono laghi, valli e montagne per cercare lavoro e fortuna all’estero. Questo valeva anche per gli artisti. Molti sono andati verso il cuore dell’Europa che prometteva lavoro: la vicina Francia, innanzitutto, ma anche la Germania e il Belgio. Per contro molti di noi, ticinesi di oggi, hanno tra gli avi della propria famiglia uno “zio d’America” che è partito alla ventura lasciando in patria molti affetti e casa. I ticinesi più temerari hanno attraversato l’oceano per sbarcare in quella che tutti immaginavano essere una terra paradisiaca. Anche se non sempre questi emigranti hanno trovato fortuna, la maggior parte ha portato con sé, assieme alla forza delle proprie braccia, anche la cultura, lo spirito e la lingua del nostro Ticino che ha trapiantato nella sua nuova patria. In questo contesto abbiamo avuto due generazioni della famiglia Perlasca – Caccia in Argentina e Uruguay. Prima (il bisnonno), Martino Perlasca e poi, con andata e ritorno in Sud America, (il nonno) Otto, con la moglie Maria Caccia (la nonna) e, successivamente anche la famiglia con tre figli tra cui Pax Perlasca (la zia) – detta Tota -.

Martino Perlasca (1860 – 1899) artista – pittore

Pittore di figura, realizzò un esiguo numero di opere. Dopo aver cominciato gli studi artistici nella città natale, si trasferì giovanissimo a Buenos Aires e quindi a Montevideo. Ha avuto molto successo dipingendo uomini politici e non solo, fra questi – si narra – anche di un ritratto a Giuseppe Verdi. Un’artista poliedrico, difficile da contenere. Molti dei suoi dipinti si possono ammirare nella Cattedrale San Josè de Mayo, nella Cappella del Santissimo Sacramento, e nella Chiesa di S. Antonio (Uruguay). È l’autore anche della decorazione del Club Uruguay e del Club Cattolico nonché degli affreschi del Palazzo Santos, sede della Cancelleria, emersi di recente, dopo essere stati coperti per decenni da strati di vernice spessa e tornati alla luce grazie al lavoro della restauratrice Claudia Frigerio. L’artista tornava più volte in Ticino per trovare l’ispirazione. Qui dipingeva quadri e opere e li spediva poi in Sud America. Per le sculture, addirittura, si recava a Carrara per cercare il marmo adatto. Era quindi una persona in continuo movimento e che sapeva organizzare bene il proprio tempo. Questo anche pensando ai mezzi di trasporto di cui disponeva che non sono certo quelli attuali. Negli anni ’80, dopo un rientro, frequentò a Milano l’Accademia di Brera e iniziò a esporre alle mostre milanesi soggetti legati al tema dell’emigrazione (1894, “Per Natale”, “Momenti felici”). Fra le opere note si ricorda “Ritornerà?”, ceduto dagli eredi al Comune di Lugano. Martino Perlasca morì, a soli 39 anni, durante un suo ritorno a Morcote, ma ebbe tre figli: Pietro Rachele, e Otto che prosegui con passione sulle orme artistiche del padre.

(I 12 apostoli di Martino Perlasca nella cattedrale di San José di Montevideo)


Otto Perlasca artista – pittore (1891 – 1975)

Otto nasce a Concordia nel 1891 e ad appena otto anni dovette lasciare l’Argentina per il paese d’origine,  per la prematura scomparsa del padre. Seguendo subito le orme di quest’ultimo abbraccia la professione artistica con notevole successo. All’accademia di Brera segue i corsi di pittura diplomandosi. In Ticino sposa la pittrice Maria Caccia, patrizia di Morcote, nipote dell’artista Pietro Anastasio, pure figura di rilievo nel panorama degli artisti ticinesi dell’epoca. Nella casa patrizia dei Caccia, situata accanto alla Torre del Capitano, i due aprono un bellissimo studio di pittura. La moglie Maria oltre che pittrice è anche scultrice. Sono anni difficili per tutto il Continente e in particolare per il Ticino. Pertanto, nel 1915, in piena guerra mondiale sono costretti ad emigrare in Argentina. Prendendo dimora a Buenos Aires. Aprono una modesta impresa per il restauro di affreschi. Dall’unione con Maria, a Buenos Aires, nacquero i figli Vincenzo (detto Tino), Martino e la figlia Pax (detta Tota). Negli anni Trenta, durante la terribile recessione mondiale, ritornarono in Ticino, a Morcote dove li riabbraccia la zia Amalia Caccia, vero punto fermo e di riferimento della famiglia. Riprendono il loro antico atelier. Nel 1963 muore la moglie e Otto rimane solo con la sua immensa passione per la pittura, che continua fino alla morte, avvenuta nel luglio del 1975 a Morcote

(Uno dei dipinti più riproposti in diversi versioni da Otto Perlasca)

Maria Pax Perlasca, nata Caccia (1891 – 1963)

Figlia di Emlio Caccia, Maria Pax, donna minuta ma molto tenace e volitiva, oltre che pittrice è anche una valida scultrice. Ne è una valida testimonianza la scultura in bronzo di oltre 3,5 m. della Madonna che schiaccia il serpente, in bellavista nel Comune di Flüeli-Ranft nel Canton Obvaldo e di cui una copia, sempre in bronzo, si può anche ammirare presso il Cimitero monumentale di Morcote, presso la tomba di famiglia. Maria, amante dei fiori e dei gatti, che considerava di nobili lineamenti, porta a Morcote un po’, se non tanta Argentina. Famosa, ad esempio, è la pausa, a casa Caccia – Perlasca, per il mate argentino con il suo particolare, quanto, intenso profumo che è un po’ come il suo estroso e passionale carattere, tutto sudamericano. Firmando l’ultimo quadro, un bouquet di fiori recisi (presente in questa rassegna), quasi come se avesse “ballato l’ultimo tango”, se ne va e in quel giorno nell’atelier, proveniente dal lago, svolazza lungamente, da quadro in quadro, una colomba

Pax Patocchi, nata Perlasca – detta Tota – (1920-2001)

A scuola di scultura della madre è una giovane poliedrica ed esuberante. È una tra le prime attrici della Radio Monteceneri e recita in parecchie commedie con la regia e/o la firma di Sergio Maspoli, pure di Morcote. Sposa in tarda età Pericle Patocchi, poeta e professore che è conosciuto per aver tradotto in francese le poesie del famoso poeta italiano Salvatore Quasimodo. Tota, rimasta vedova, a quasi sessant’anni si inscrive all’Università di Neuchâtel, città dove poi risiede sino alla morte.  

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